Dal sito di Parkinson Italia

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Come l’esercizio aerobico ha migliorato la mia vita

Newton, Massachusetts, 22 febbraio 2018

Mi chiamo Pierluigi Balduzzi, ho 55 anni ed ho il Parkinson. La mia diagnosi risale al 2013, ma i miei sintomi motòri erano già apparenti nel 2012. Il mio “tragitto” è quello tipico di molte persone con Parkinson.

Inizialmente, il trattamento con dopamina sintetica (Carbidopa-Levodopa) a basso dosaggio è risultato efficace nella gestione dei sintomi. Tuttavia, dopo alcuni anni, il dosaggio dei farmaci è aumentato in modo significativo. Attualmente il mio trattamento prevede: tra le 6 e le 8 pastiglie di Carbidopa-Levodopa (dopamina sintetica), 5 pastiglie di Carbidopa-Levodopa ad azione prolungata e 2 pastiglie di Pramipexole (un “agonista” della dopamina che ne attiva i recettori). Infine, un cerotto, anch’esso contenente un agonista della dopamina, è necessario per ottimizzare il trattamento. All’aumentare del dosaggio delle medicine e al peggiorare dei sintomi della malattia, la mia reazione è stata quella di intensificare l’Attività fisica. La mia battaglia con il Parkinson è diventata come una gara in bici o in kayak. La strategia ha funzionato oltre le mie aspettative. A 55 anni sono probabilmente nella miglior forma fisica della mia vita, ho allenamenti e gare che mi motivano ed ho intensificato ed allargato le mie amicizie. Ho finalmente capito il significato della competizione: la ricerca insieme agli altri, e non contro gli altri, della prestazione migliore. Ma forse la cosa più importante è che da luglio dello scorso anno la mia assunzione di farmaci è invariata. In altre parole, la progressione della malattia di Parkinson sembra si sia arrestata per più di 6 mesi. In aggiunta, almeno fino ad adesso, sono riuscito ad evitare l’effetto collaterale più debilitante dell’assunzione di grandi quantità di Carbidopa-Levodopa: la discinesia, ovvero il movimento brusco e incontrollato.

Coincidenza vuole che poche settimane fa, uno studio condotto da un consorzio di varie università e ospedali, tra cui l’Università del Colorado e Northwestern University, ha dimostrato che l’esercizio aerobico ad alta intensità (al disopra dell’80% dello sforzo massimo) riesce a fermare il progresso della malattia. Questo risultato apre una speranza ai malati di Parkinson e li pone in una posizione “attiva” rispetto alla malattia.

Tuttavia, lo studio di cui sopra potrebbe essere migliorato ed ampliato in diverse direzioni:

• La popolazione monitorata comprendeva solo 128 soggetti, suddivisi tra (a) un campione di controllo e (b) un campione di trattamento, un numero facilmente “scalabile”, attraverso anche gli strumenti “social” che permetterebbero la costituzione di una comunità di individui ben superiore;

• i soggetti appartenenti alla popolazione di riferimento esibivano sintomi lievi e non stavano assumendo farmaci per il Parkinson: l’allargamento a individui con sintomi più gravi e/o che assumono farmaci genererebbe ulteriori dati utili per studiare gli effetti dell’attività fisica sulla discinesia indotta dalla Levodopa;

• i meccanismi a livello molecolare che potrebbero spiegare l’effetto dell’esercizio fisico documentato nello studio non sono ancora del tutto conosciuti.

Un ostacolo all’estensione dello studio è che la ricerca tende a concentrarsi sullo sviluppo a breve termine di medicine e terapie. Vedi, per esempio, la ricerca su terapie indirizzate all’alfa-sinucleina, la proteina che si accumula nelle cellule “dopaminogeniche” (che producono dopamina) dei malati di Parkinson.

Queste nuove terapie alterano il metabolismo delle cellule dopaminogeniche, con effetti collaterali di lungo periodo ancora sconosciuti e comunque non sono ancora approvate dalle autorità regolatorie, quindi non ancora sul mercato. Ai malati di Parkinson rimangono solo medicine che trattano i sintomi, ma non le cause della malattia, senza possibilità di rallentare o arrestare il progresso della malattia. Per quanto riguarda la discinesia, la terapia tipica si basa sull’elettrostimolazione di neuroni, pratica che richiedente un intervento di neurochirurgia.

L’ esercizio aerobico intenso è invece una “terapia” naturale e non invasiva, che ha effetti positivi sia per la salute fisica che mentale. Tuttavia, l’allargamento della ricerca sugli effetti dell’esercizio fisico non è necessariamente una priorità per le case farmaceutiche, data la bassa probabilità di tradurre tale ricerca in un farmaco commerciabile in tempi brevi. In altre parole, questo è il tipo di ricerca di base in cui è possibile che il settore privato non investa di sua iniziativa.

DESIDERO INDIRIZZARE QUESTA LETTERA ANZITUTTO AL MINISTERO DELLA SALUTE E POI A CASE FARMACEUTICHE, FONDAZIONI, ISTITUTI DI RICERCA, E ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI PERCHÉ SIA STIMOLATA UNA RICERCA SU LARGA SCALA DEDICATA ALLO STUDIO DEGLI EFFETTI DELL’ESERCIZIO FISICO SULLA MALATTIA DI PARKINSON E SULLA DISCINESIA INDOTTA DALLA LEVODOPA.

Si tratterebbe di implementare una versione sostanzialmente allargata dello studio Colorado-Northwestern e, parallelamente, continuare ed intensificare la ricerca di base per capire a livello molecolare quali siano i meccanismi che si instaurano sulla popolazione umana.

Ritengo che ci siano molte ragioni perché l’Italia sia un “laboratorio” ideale in cui studiare e promuovere l’esercizio fisico come terapia:

1. In Italia le decisioni riguardanti la salute pubblica sono largamente centralizzate, per cui una singola entità (il Ministero della Salute) è in grado di gestire i molteplici aspetti dell’iniziativa. In particolare, il Ministero potrebbe coordinare e gestire le collaborazioni pubblico-privato necessarie per l’ulteriore studio degli effetti dell’esercizio fisico e per l’introduzione di programmi estesi a larghi segmenti della popolazione.

2. Il trattamento delle patologie è uniformato attraverso il Sistema Sanitario Nazionale. Quindi, i protocolli sviluppati per l’esercizio fisico per le persone con Parkinson verrebbero applicati in breve tempo su un grande campione, con ovvi benefici per la validità di uno studio.

3. Il Sistema Sanitario Nazionale incorpora sia la funzione assicurativa che la funzione medica. Quindi, un’unica entità può avvalersi sia degli effetti preventivi che degli effetti terapeutici dell’esercizio fisico.

4. In Italia esiste un settore manifatturiero che rappresenta un partner naturale nella progettazione e produzione di biciclette stazionarie, il “veicolo” più adatto per l’esercizio aerobico intenso.

5. L’ Italia ha una popolazione relativamente vecchia che sta ulteriormente invecchiando, quindi sia l’aspetto terapeutico che quello preventivo sono economicamente importanti.

6. L’ Italia si presta culturalmente all’introduzione allargata dell’esercizio fisico come prevenzione e terapia, in particolare tramite l’uso della bicicletta stazionaria, data la familiarità della popolazione italiana con lo sport ciclistico.

7. In Italia esistono centri di eccellenza nella ricerca su malattie neurodegenerative e sulla malattia di Parkinson in particolare.

Pierluigi Balduzzi, Professor of Finance and Ph. D. Program Coordinator – Boston College

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