…. una riflessione sull’alleanza terapeutica medico-paziente, a margine del video Da Dio a guida (From God to guide) del neurologo olandese Bas Bloem.

Brevissima premessa: la malattia di Parkinson è una malattia degenerativa del Sistema Nervoso Centrale, cronica e progressiva.

Soffermiamoci un attimo sugli aggettivi:

  • cronica (opposto di acuta, cioè “o la va o la spacca”): ci accompagna per il resto della vita.
  • degenerativa: si perdono per sempre dei neuroni specifici per la produzione di dopamina.
  • progressiva: il processo non si ferma.

Allora noi che abbiamo ricevuto una diagnosi di Parkinson dobbiamo suicidarci?

Certamente no, anzi dobbiamo mettere in moto al più presto tutte quelle attività che “ci fanno star bene“, perché il percorso è lungo.

Infatti la malattia non è mortale né accorcia sostanzialmente la vita, ma la rende certamente più dura per noi e per i nostri cari.

A questo punto uno potrebbe domandarsi: “Che cosa c’entra l’alleanza terapeutica?“.

Se la valuto su di me e su altri “compagni di sventura”, mi sembra che questa malattia possa essere rappresentata come un piano inclinato, poco inclinato, ma molto scivoloso, cioè non hai mai la sensazione del gradino in cui tirare il fiato e riorganizzarti.

A complicare la situazione, presenta un andamento tipo “montagne russe”, ovvero altalenante nell’arco delle settimane, dei mesi e addirittura della stessa giornata, andamento che prescinde dai farmaci che stai prendendo, ma che può indurre il neurologo (nel dubbio) a modificare la terapia incrementando il dosaggio.

Ecco, il neurologo, che sa bene che ogni Parkinson “è una storia a sé, dovrebbe scendere dal piedistallo (come nel video di Bas Bloem) e prendere per mano il malato, accompagnandolo,come compagno esperto, in un lungo percorso in cui ha molto da dare, ma anche molto da ricevere per conoscere meglio, dall’interno, una malattia di cui lui è lo specialista.

Un percorso in cui la qualità della vita diventa il gold standard: allora il neurologo sarà meno scettico verso l’attività fisica declinata in tutte le sue forme, e capirà che, proprio per la natura della malattia, l’attività motoria non può essere occasionale, ma deve essere continua e anche gratificante per il paziente.

In conclusione, grazie a questa alleanza terapeutica il neurologo si trasforma da “pasticchiere” in un vero compagno di un’avventura che può e deve essere positiva.

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