Circa 300 mila persone in Italia convivono con la malattia di Parkinson, un numero destinato a crescere nei prossimi anni, mentre l’età di insorgenza dei primi sintomi si abbassa a 40/50 anni.
Per rallentare la malattia, diversi studi hanno dimostrato come la fisioterapia porti miglioramenti non solo motori, ma anche neurologici.
Studi nazionali e internazionali hanno dunque individuato nella fisioterapia un ruolo strategico come parte integrante delle terapie farmacologiche e chirurgiche per la malattia di Parkinson, al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
«Negli ultimi anni il ruolo della ricerca è stato determinante – sostiene Elisa Pelosin, professore associato presso l’Università degli Studi di Genova e presidente del comitato tecnico scientifico A.I.F.I (Associazione Italiana di Fisioterapia) – per verificare che quanto fatto tramite la riabilitazione porta non solo benefici motori, come il miglioramento del cammino o la riduzione delle cadute, ma che questo determina dei cambiamenti nella neuroplasticità a livello del sistema nervoso centrale.
Si tratta di modifiche legate proprio all’apprendimento motorio.
Quindi l’idea è di dimostrare, e i dati confortano le tesi dei fisioterapisti, che i cambiamenti non sono solo da un punto di vista fisico, ma anche neurologico».
Autore: Federico Bosco