Questo testo è stato redatto da Alexander Reed, malato di Parkinson, direttore dell’European Parkinson Therapy Centre (Centro Europeo per la Terapia Parkison) con sede a Boario Terme (Brescia), in cui si applica il Protocollo terapeutico REGen.

Purtroppo il Centro non è convenzionato con il Sistema Sanitario Nazionale.

Ognuno di noi vive una condizione degenerativa chiamata invecchiamento, ma la maggior parte delle persone di 70 anni non si sente limitata dalla ridotta capacità di fare alcune cose. Quando abbiamo il Parkinson, accettare e adattarsi a questa realtà è più difficile, perché siamo meno preparati ad affrontarlo. Tuttavia dobbiamo adattarci, e, come con la vecchiaia, accettare il fatto che siamo semplicemente meno capaci.

I servizi sanitari in Europa non sono sempre a nostro favore. Viene fatta la diagnosi, prescritto un pacchetto di pillole e fissato un appuntamento per l’anno dopo. Si tratta di uno shock psicologico, ma è scarsamente compreso che è anche uno shock alla famiglia. Che cosa dovremo fare? Cosa succederà?

Il Parkinson colpisce tutta la famiglia, e tutta la famiglia ha bisogno di sostegno e rassicurazione.

Non è sorprendente che oltre il 50% delle persone con il Parkinson siano clinicamente depresse e che la stragrande maggioranza cerchi di chiudersi in se stessi invece di cercare aiuto. La triste verità sul Parkinson è che la verità non viene mai chiarita.

Vorrei che alla diagnosi mi fosse stato detto: “E’ possibile ridurre i sintomi fino al 40%; si può rallentare la progressione, e la tua vita diventerà più preziosa, non meno, se farai le scelte giuste”.

Alcuni di noi sono riluttanti ad ammettere di avere il Parkinson, quasi come se avessimo paura di essere considerati come diversi o più deboli. Eppure, anche la persona che viene vista in un evento alle Paraolimpiadi è applaudita, perché lui o lei ha scelto di combattere. Chiunque affronta le avversità con determinazione è più forte proprio per questo!

Parole come “Il Parkinson mi ha reso un uomo migliore” o “Il morbo di Parkinson è stata l’occasione” hanno poco senso al momento della diagnosi.

Secondo un famoso studio (Parkinson Outcomes Project), i primi fattori che distruggono la qualità della vita di una persona con il Parkinson sono l’apatia e la depressione, e non tutti gli ormai noti sintomo motori. Questo punto è essenziale per imparare a convivere con il morbo di Parkinson.

Di volta in volta, mi capita di incontrare le famiglie devastate dal morbo di Parkinson, e settimana dopo settimana spieghiamo che il Parkinson può portare a un cambiamento nelle loro vite, ma a volte questo cambiamento può rafforzare la famiglia e essere una nuova opportunità. Il Parkinson non distrugge la nostra vita, ma impone solo dei limiti a cui dobbiamo adattarci.

Il nostro approccio terapeutico si basa sul concetto che ci sono quattro elementi chiave (quelli che noi chiamiamo “pilastri”) per mantenere una buona qualità di vita. I medicinali sono naturalmente al centro, ma una casa con una sola parete non potrà certo reggere il tetto. Non sono i farmaci a cambiare la vita di una persona depressa, ma c’è bisogno che tutti i quattro pilastri abbiano la stessa altezza.

Se vogliamo imparare una lingua straniera, un’ora a settimana non è sufficiente. Due settimane di full-immersion avrebbero un impatto molto più elevato – ma otterremmo ancora di più applicando quotidianamente quanto imparato e parlando quella lingua ogni giorno per il resto della nostra vita. È lo stesso per il morbo di Parkinson: un incontro e iscriversi ad un corso di danza due volte a settimana non saranno abbastanza per cambiare la qualità della nostra vita.

Quindi, quali sono i quattro pilastri delle persone con Parkinson?

Medicine

Le medicine, come abbiamo accennato in precedenza, è ciò che ci fa muovere e facilita alcuni aspetti del Parkinson. Un noto neurologo britannico mi ha detto di recente: “Noi sappiamo molto riguardo al Parkinson, ma non sappiamo e non possiamo sapere cosa sia veramente avere e vivere con il morbo di Parkinson”. È probabilmente la ragione per cui questo neurologo è così eccezionale. Ho visto molte persone che hanno visitato più di 10 neurologi e si lamentano per non aver trovato quello giusto, che può “risolvere” i loro problemi. Non è realistico che in un appuntamento di 20 minuti un neurologo possa risolvere tutte le problematiche annesse al Parkinson, con una pillola. Il farmaco è un pilastro essenziale, ma non è una stampella.

L’attività fisica

L’importanza dell’attività fisica è ormai nota. Come l’assunzione di pillole, è ormai scientificamente accettato che deve essere fatta ogni giorno per produrre e mantenere i risultati. Regolarità è meglio di quantità. Ma che cosa dobbiamo fare per migliorare la nostra condizione con il movimento? Camminare è un aspetto fondamentale e essenziale della vita quotidiana con il Parkinson. Produce un effetto neuro-protettivo.

In breve: aiuta a rallentare la neuro-degenerazione, che è un bene per tutti, ma soprattutto per quelli di noi che hanno il Parkinson.

La Tangoterapia, andare in palestra e la fisioterapia sono spesso citati, ma in realtà, se non fatti ogni giorno, hanno effetti limitati.

Gli studi dimostrano che la fisioterapia deve essere combinata con il pensiero cosciente: “Pensa prima di muoverti.” Questo punto è spesso dimenticato e si basa sul concetto di neuro-plasticità. Se qualcuno si rompe una gamba, lo si può riabilitare, ma per noi il problema è all’interno della testa, perciò la fisioterapia deve essere combinata con il pensiero cosciente. Se pensiamo a correggere la nostra postura, ad aumentare la lunghezza del passo e al movimento del braccio, e poi consapevolmente continuiamo a farlo, scopriremo che in un breve periodo di tempo il cervello si adatterà a questa nuova normalità e quel movimento diventerà automatico. Un po’ come se, abituati a dormire sempre sul fianco, un giorno, a causa di una costola rotta, si fosse costretti a dormire sulla schiena. Per le prime notti questo probabilmente significherebbe dormire poco, ma poi il nostro cervello accetterà la nuova realtà, e anche dopo che la costola sarà guarita, si continuerebbe a dormire felicemente sulla schiena.

Anche le terapie di gruppo sono popolari, ma ognuno è diverso ed il Parkinson di ognuno è diverso. Se si vuole veramente ridurre i sintomi, è necessario lavorare individualmente con uno specialista per determinare, correggere e imparare come continuare questo miglioramento anche a casa.

Stile di vita

Lo stile di vita è forse il pilastro meno compreso, e quindi quello meno affrontato tra i quattro. Oltre ai punti ben conosciuti su cosa e quando si mangia e la prevenzione dello stress, è essenziale capire che scegliamo il modo in cui viviamo la nostra vita. Possiamo scegliere di essere apatici e negativi, o possiamo scegliere di prendere il controllo. Possiamo scegliere di delegare la nostra qualità di vita ad un neurologo o ai nostri coniugi, o possiamo scegliere di focalizzarci su quello che ci piace e diventare il protagonista. La scelta di continuare a fare tutto alla stessa velocità di prima non è una scelta: è la negazione. Vivere agli stessi ritmi di prima (a tutta birra) è come guidare una macchina veloce, però con un motore che sta lentamente perdendo potenza: ad un certo punto si romperà. La vita cambia, ma chi dice che non siamo in grado di decidere come dovrebbe cambiare? Se scegliamo di fare meno, ma fare più spesso quello che ci piace, allora la qualità della nostra vita è mantenuta. Confondiamo la quantità con la qualità di vita.

Psicologia

Usiamo il metodo ACMA

Il primo passo è quello di ACCETTARE che abbiamo il Parkinson; che significa accettare qualcosa che non vogliamo, ma proprio come l’invecchiamento, è un dato di fatto. Come possiamo combattere qualcosa se non accettiamo che esiste? E’ come salire su un ring con gli occhi coperti: verremo colpiti duramente. Togliamo la benda, in modo tale da poter colpire e combattere!

COMPRENDERE la verità riguardo al Parkinson ci rende più forti, così come renderci conto che possiamo influenzarne la progressione e i sintomi. E’ molto più difficile combattere una guerra in cui non crediamo o di cui non capiamo la strategia.

Solo se accettiamo e comprendiamo questo possiamo essere MOTIVATI, e ciò sarà efficace solo se uniamo quello che dobbiamo fare con quello che ci piace fare. Non possiamo rimanere motivati se continuiamo a fare quello che dobbiamo fare senza avere alcuna ricompensa. La dopamina viene rilasciata nel nostro cervello quando facciamo qualcosa di piacevole; per esempio saremo più inclini a fare una lunga e sana passeggiata se avremo una ricompensa come una sosta presso una gelateria o al bar preferito.

Queste tre fasi portano all’AZIONE reale, in cui crediamo e che siamo in grado di sostenere. Troppa gente parla di ciò che deve fare (l’azione), senza aver accettato, capito e deciso di farlo in realtà!

Se uno di questi pilastri crolla, può abbattere anche gli altri. Ecco perché l’apatia e la depressione sono così distruttive. Se smettiamo di interessarci, smettiamo di fare esercizi e smettiamo vivere. Ci rimangono solo le medicine – torniamo al punto di partenza – e peggio, entriamo in quello che un eccellente neurologo ha chiamato “Vortice di apatia”. Il vortice ci tira verso il basso, elimina la neuro-protezione e la neuro-plasticità, e distrugge le persone con Parkinson e le vite di coloro che li circondano.

Guardare indietro a quello che siamo stati in grado di fare prima del Parkinson, invece di tutte le cose che possiamo ancora fare, è l’origine della depressione di molte persone. Mentre, guardando al futuro, possiamo sperimentare la paura e l’ansia. “Dove sarò tra dieci anni? Che cosa ci riserva il futuro?”. Tutto questo messo insieme può creare l’apatia che è spesso strettamente legata al Parkinson. La verità è che né guardare avanti o indietro è rilevante. E’ l’oggi che importa! E dovremmo concentrarci sul gestire e trarre il massio dalla nostra vita ogni giorno: guardando il lato divertente, imparando la verità e vivendo una vita piena con il Parkinson.

Fonte: http://www.terapiaparkinson.it/programma-parkinson/vita-quotidiana

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